Palazzo Miretti
Il palazzo di Savigliano è il più antico del Piemonte sud-occidentale, attestato sin dal 1224. All’epoca il comune è retto dal podestà di origine milanese Alberto Crivelli. Il comune in quel periodo aveva per diverso tempo gravitato all’interno dell’orbita astigiana, attraverso un giuramento avvenuto nel 1205 e rinnovato nel 1217. Sicuramente l’influenza astigiana è documentata nel 1228, quando è podestà Anselmo Musso, originario di quella città. Lo stesso atto del 1224, denunciando la reazione astigiana a un tentativo di Savigliano di accogliere abitanti da Cavallermaggiore, mostra tuttavia una fase di attrito fra i due comuni. La presenza come podestà nel 1227 di un dominus rurale quale Guglielmo di Caraglio di Salmour potrebbe indicare una simile volontà di autonomia da Asti. Il palazzo si presenta, come la maggior parte dei palazzi dell’area, costruito sulla platea, con un edificio porticato a due piani. Del resto, la platea, principale spazio commerciale del borgo, si era già affermata come luogo di riferimento per il comune, che nei primi due decenni del Duecento aveva convocato le sue riunioni nella chiesa di Sant’Andrea (1205, al termine della platea) e nel mercato (1217). Cuore dell’insediamento duecentesco, la platea si sviluppa con proprie logiche alternative al primitivo nucleo ellissoidale dell’abbazia di San Pietro. L’edificio è collocato in fregio all’asse viario che unisce lo spazio mercatale della platea con il sagrato della canonica di Sant’Andrea, polo ecclesiastico dell’espansione insediativa di età comunale (ricordiamo che l’attuale chiesa di Sant’Andrea ha orientamento ruotato di 180° rispetto all’edificio duecentesco). Lo spazio antistante alla sede comunale doveva avere una maggiore apertura verso la platea, progressivamente saturata dalle espansioni del complesso abitativo dei Galatari, che ha due espansioni verso la piazza (Botta 1979, 100-101: ancora leggibile filo medievale trecentesco nella ghiera a ridosso dell’arco barocco). Si deve tuttavia ricordare che il parcellare duecentesco e le cortine edificate dell’area della piazza non sono ancora oggetto di regolarizzazione di tracciato, fenomeno che si svilupperà solo nel corso del Quattrocento (Rinaldi 2012). La via su cui prospetta la sede comunale (ruata Savilliani: Botta 1979, p. 90) perde il proprio ruolo funzionale con il rovesciamento della chiesa di Sant’Andrea, che darà maggiore importanza alla relativa ruata, poi enfatizzata dall’arco trionfale e dagli interventi urbanistici cinque-secenteschi. Insomma, è probabile che la platea costituisse un sistema di profondità diverse, molto più irregolare dell’attuale Piazza Santarosa (il cui invaso è quattrocentesco, di fatto), dato dal sagrato di Sant’Andrea originario a ovest, dallo spazio davanti al palazzo e dallo spazio del mercato, in sequenza.L’angolo della platea pertinente il palazzo comunale è anche caratterizzato dalla cappella, struttura ottagonale ad archi aperti, isolata, sede di attività amministrativa (capella ubi ius redditur, XIV sec.: Botta 1979, 47-51) preclusa ad attività commerciali private, da intendersi quindi anch’essa parte di uno spazio di natura civica.
All’interno della domus comunis si riuniscono consigli e si stipulano trattati politici. All’esterno, sotto i portici, si pronunciano le sentenze. L’identificazione del palazzo come “domus iustitie” (1254), “porticus ubi ius redditur” (1309) o “palacium … ubi ius redditur” (1319) conferma l’esercizio delle funzioni giudiziarie e forse anche con la residenza dei magistrati incaricati. Si noti comunque che nel corso del Duecento numerosi consigli continuarono a tenersi nella chiesa di Sant’Andrea, già usata come luogo pubblico di riferimento nel 1205. Forse anche a causa del silenzio delle scritture comunali durante l’ultimo quarto del Duecento, solo durante la seconda dominazione angioina, nel 1319, angioina compare un palacium: è possibile che la trasformazione lessicale si fosse associata a interventi sulla struttura. Ad ogni modo, nel 1319 la struttura è indicata come palacium curie. Durante il dominio provenzale il palazzo era infatti rimasto il principale luogo del potere civile: in questo periodo è attestato anche, per la prima volta, nel 1320, il giardino del palazzo (in zardino curie), che poteva essere adibito alla stipula di atti pubblici. Senz’altro, così come sulle porte del borgo, erano stati dipinti gli stemmi angioini, che furono fatti cancellare dai Savoia, i quali vi apposero i loro nel 1347, appena presero possesso di Savigliano. Le tracce di decorazione pittorica, sabaude ma prima anche angioine, confermano l’attenzione delle due dominazioni signorili all’abbellimento della sede civica. I restauri hanno consentito di ritrovare tracce delle aperture medievali del livello superiore (in particolare le due finestre centrali e le spalle delle due laterali), elementi su cui si è imperniata la restituzione stilistica della facies medievale dell’edificio (Garzino, Olmo 1987, pp. 35-49). Il restauro ha fatto emergere anche parti di dipinti rimasti interclusi tra l’originario solaio ligneo due-trecentesco e le volte in muratura realizzate nel 1484. La datazione dei dipinti è stata oggetto di un vivace dibattito – posto anche in relazione stilistica con i cicli pittorici della cappella di San Nicola nella collegiata di Sant’Andrea, poco distante – che pare essersi attestato su una datazione immediatamente successiva alla dedizione di Savigliano a Filippo d’Acaia nel 1320 (Quasimodo Semenzato 1997, p. 105), datazione effettuata sia sulla base di criteri formali, sia per la presenza degli stemmi sabaudi e del comune di Savigliano nel fregio pertinente i dipinti. In facciata durante i restauri sono inoltre emersi stemmi sabaudi della dinastia comitale e dei principi d’Acaia, riferibili probabilmente all’attività di demarcazione anche degli spazi precedentemente comunali effettata in occasione della dedizione del 1320 e rinnovata per quella del 1347 (Garzino, Olmo 1987, p. 62; fonti contabili dai rotoli di castellania citate in Quasimodo, Semenzato p. 105, note 42 e 44). L’analisi iconologica dei pochi brani dipinti superstiti nella sala consiliare ha inoltre consentito di ipotizzare il tema del ciclo e il suo rapporto con la cultura locale (Piccat 1998): si tratterebbe di un’interpretazione del mito greco di Meleagro, di cui sono riconoscibili soprattutto le scene del tragico epilogo (il duplice suicidio per impiccagione femminile e la trasformazione in faraona di altri personaggi femminili), che nel suo insieme sottolinea la necessità di collaborazione tra le istituzioni dopo l’adesione del comune di Savigliano al principato sabaudo e il legame della dinastia Savoia-Acaia con la cultura ellenica, testimoniato anche dall’attestazione documentaria di altre raffigurazioni del medesimo mito negli inventari di corte.
La sovrapposizione dei simboli del potere signorile non cancellò tuttavia il valore identitario della struttura per la comunità saviglianese, che nelle clausole delle dedizioni ai Savoia del 1320 e del 1349 ottenne esplicitamente il divieto di alienare i “domos seu palatia comunis”. L’espressione, al plurale, lascia intendere un complesso di edifici, di cui forse faceva parte anche una torre: alcune ipotesi restitutive sono proposte da Oreste Garzino (Garzino, Olmo 1987, pp. 11 sgg.), progettista dei restauri dei primi anni Ottanta, che individua anche una presunta torre contigua alla domus. La ricostruzione delle vicende costruttive di una simile struttura risulta tuttavia particolarmente complessa. L’attuale torre del comune, sul lato nord-orientale della piazza (sul lato opposto del palazzo del comune), è probabilmente di costruzione tre-quattrocentesca. Essa deve essere probabilmente identificata con la torre “della Casana”. Probabilmente tale torre faceva parte della casana dei Lupo, già rivendicata a inizio Quattrocento dalla comunità. Qui, d’accordo con i Lupo, nel 1404 Ludovico aveva fatto costruire un “resettum novissimum”. La torre è attestata esplicitamente dal 1411 (Turletti, sulla base della parola casana in alcuni documenti ne riconduce le prime attestazioni al 1303, ma la deduzione appare decisamente forzata). Senz’altro nel 1411, tale torre, prospiciente sulla piazza e porticata, con una bottega sottostante, risultava essere proprietà privata. La torre sembrerebbe la stessa indicata nel 1447-1448 come “Torre dell’orologio”, in cui da lungo tempo era ospitato l’orologio della comunità (“in qua fuit et est presentialiter lungo tempore situatum horologium dicte comunitatis”). Di certo, anche in questo caso la torre era contesa fra alcuni privati (i Biandrate, che proclamavano averla ricevuta in eredità proprio dai Lupo) e la comunità, che grazie a una donazione ricevette nel 1448 il sedime porticato della bottega sottostante alla torre, destinandola alle attività di conto del massaro comunale. L’investimento del comune sulla torre civica come nuovo fulcro dello spazio comunale – rispetto all’antica domus più centrale rispetto alla piazza e prossimo alla residenza del principe – si rafforza a partire dal 1462, all’interno di un progetto di riqualificazione che prevede anche la fattura di campane e di un nuovo orologio. La torre civica fu oggetto di consistenti interventi nel XVII secolo, come dimostrano le ricevute dei lavori effettuati (pittura dell’orologio nel 1621 e acquisto di mattoni e maestranze nel 1682).
Autori
Andrea Longhi,
Nome | Palazzo Miretti |
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Denominazioni antiche | Palazzo Comunale |
Riconoscibilità | partly |
Geolocalizzazione
Località | Savigliano |
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