Palazzo Gianazzo di Pamparato
La costruzione del palazzo comunale avviene in concomitanza con il trasferimento della sede comunale da Testona (ancora nel febbraio 1230) a Moncalieri (entro il novembre dello stesso anno): nel 1231, è infatti attestata per la prima volta il porticus comunis, come luogo dove contrare un prestito per il comune il primo podestà di Moncalieri, il milanese Guido da Subinago. Il Subinago è probabilmente il promotore della costruzione della domus, che come tale è indicata per la prima volta soltanto nel 1243. Si noti che il comune di Testona, nella fase anteriore al 1230, non ebbe mai una propria sede del potere civile. Nelle sue prime fasi di vita, la casa del comune sembra avere un utilizzo modesto, che si concentrava nel portico antistante all’edificio: tale area è sporadicamente attestata come luogo di riunione dell’assemblea locale (nel 1239, nel 1243 e nel 1272), per la stipula di atti relativi al comune, per lo più carte di debito (nel 1249 e nel 1251) e per l’esercizio della giustizia (1272, “in porticu iustitie”). Il podestà dimorava almeno nel 1232 in un’abitazione privata (“in domo Iacobi de Purpure in qua manet potestas Montis Calerii”), mentre i consigli municipali sono tenuti quasi esclusivamente nella chiesa di Santa Maria, affacciante sulla platea. Su questo punto l’abbondante documentazione, almeno dal 1234 fino al 1276 è piuttosto esplicita: a parte i tre succitati consigli del 1239, del 1243 e del 1272, le riunioni si tenevano abitualmente all’interno di tale chiesa e, in un’occasione soltanto, nel 1253, nel convento dei Minori. Almeno dal 1276 lo spazio porticato antistante alla domus comunis si impose come luogo privilegiato per le riunioni consigliari e per l’esercizio della giustizia (“in Montecalerio, videlicet subtus porticu dicti loci ubi ius redditur et conscilium tenetur ubi erat credencia Montiscalerii ad sonum campane more solito congregata”). È possibile che la scelta fosse stata imposta anche dallo sviluppo del cantiere di Santa Maria, che è documentato almeno dal 1262. Le norme statutarie mostrano un ripensamento complessivo dell’assetto della platea. Gli studi hanno voluto vedere due sezioni, una più antica (1240ca-1277) e una più tarda (1295), ma la lettura della compilazione lascia molti dubbi sulla possibilità di datare con certezza le differenti norme e suggerisce, più prudentemente, di limitarsi a collocare tali trasformazioni tra la seconda metà del Due e la metà del Trecento circa. Senz’altro un primo gruppo di norme fa riferimento a un’inchiesta affidata al castellano e intesa a censire i portici della platea e il sedimen comunis. Con quest’ultimo la norma sembra fare riferimento a uno spiazzo antistante all’edificio comunale (“sedimen vacuum quod est ante domum communis”), separato da una casa privata tramite la strada che conduceva alla Porta Mediolanensem (“via que est media inter predictam domum et sedimen dictum per quam itur versus Porta Mediolanensem”). Tale spiazzo era inoltre attiguo, ma forse non pienamente coincidente, con la platea: esso era inedificabile e doveva restare, secondo gli statuti, a disposizione del comune (“ad opus comunis”), senza che gli ufficiali sabaudi potessero appropriarsene. L’inchiesta doveva verificare che i portici non venissero chiusi e fossero usati soltanto per i banchi delle attività commerciali. Tale inchiesta era funzionale al ripensamento urbanistico della piazza, i cui portici furono rettificati e regolarizzati (“facere reduci porticus platee ad unum modum comune ita quod nullus maiorem porticum habeat quam alter”). Non sappiamo se a questa norma si debba riferire l’allargamento della piazza riferito al 1289 da una fonte cronachistica secentesca (Bonardi 2003, p. 46 ). L’edificio comunale, anche per lo scarso utilizzo, doveva tuttavia essere ritenuto inadeguato. La ricomparsa del palazzo comunale nella geografia del potere moncalierese si associa a modifiche che sono ben spiegate da alcuni capitoli statutari e che devono con tutta probabilità essere stati prodotti tra il 1277, quando ancora, come abbiamo visto, le riunioni consiliari si tenevano sotto il portico del comune, e l’inizio del Trecento, epoca in cui si parla correntemente di palacium per indicare la sede del comune. In tale arco cronologico, l’edificio fu adattato al modello più diffuso nell’area. La domus fu sopraelevata, di modo che al piano superiore si potessero tenere i consigli, lasciando le consuete attività mercantili nello spazio aperto sottostante (quod domus in qua ius redditur relevetur ubi reddatur ius et fiant consilia: “Item statuerunt et ordinaverunt quod doums communis in qua ius redditur relevetur et ibi edificetur unum solarium super quo solario fiant consilia communis Montiscalerii et ibi ius redattur et inferius finat banche ad opus mercandie qua debeat locari ad pensionem omni anno”). Il rinnovamento dell’edificio avvenne infatti in concomitanza con la creazione di un nuovo spazio per le attività mercantili, che la storiografia identifica come la costruzione del Mercato Nuovo o Casa del Mercato (Arvizzigno, pp. 186-194). La creazione di una sede per le maggiori professioni locali sembra suggerire la riconfigurazione complessiva degli spazi del potere civile, con il riconoscimento del peso acquisito dalle attività artigianali nel borgo, la cui sede appare dunque inserita nel complesso del nuovo palazzo comunale. Tale progetto sembra inserirsi all’interno di una volontà di centralizzazione del controllo sui mestieri e di disciplinamento degli stessi che è suggerito dalla presenza, all’interno degli statuti, di un cospicuo corpo di norme relativo alle professioni artigianali, di cui tra l’altro l’obbligo per il castellano di effettuare inchieste periodiche su congiure e cospirazioni da parte delle corporazioni (col. 1396, “teneatur castellanus inquirere diligenter si terdones, sartores, beccarii, textores aut alii exercentes misteria fecerint aliquam coniurationem aut conspirationem”). Anche il divieto alla creazione di societates (col. 1407, “quod nulla societas de cetero fiat in Montecalerio”) conferma la volontà comitale di disciplinare il vivace sviluppo sociale moncalierese. Gli statuti lasciano inoltre intendere la presenza nella platea di una torretta con campana attigua a tale spazio per le attività mercantili (“apud columpnam in qua sita est campana”, poi “torreta comunis” in una scrittura del 1326. Una campana credencie è citata in un’altra norma). Dal punto di vista del lessico, il palazzo comunale è indicato quasi esclusivamente come domus comunis nel Duecento, anche se, almeno da inizio Trecento (1309, ma lo spoglio documentario deve essere completato) inizia a essere definito palacium, termine che diviene prevalente nella documentazione. Potrebbe dunque essere precedente a tale data la norma statutaria che accenna agli interventi per la sopraelevazione dell’edificio usa il vocabolo palacium, consono a esprimere la volontà di rinnovamento e di ampliamento della struttura (Quod debeat fieri solarium in palacio communis ubi ius redditur).
Autori
Andrea Longhi, Riccardo Rao
Nome | Palazzo Gianazzo di Pamparato |
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Denominazioni antiche | Domus comunis |
Riconoscibilità | partly |
Geolocalizzazione
Località | Moncalieri |
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